Il breve articolo che qui riporto mi è giunto inaspettato; credo sia stato scritto nel dicembre del 2009.
La Direzione del Partito democratico del 19 dicembre 2008 sorprese molti osservatori e suscitò una grande emozione. Con una relazione di appena dodici minuti, Walter Veltroni annunciò lo scioglimento immediato del Pd e la decisione unanime e irrevocabile di tutti i leader del partito di ritirarsi a vita privata (fatto salvo il mandato parlamentare, che avrebbero continuato ad esercitare, se lo desideravano, in forma strettamente personale). La discussione che ne seguì fu breve: troppa l'angoscia nei cuori di alcuni, e troppa la gioia nel petto di altri per consentire un "dibattito approfondito" – per usare la terminologia dell'epoca – sul futuro del partito. Nel giro di un paio d'ore, il Pd dunque si sciolse. E poiché la decisione dei leader di ritirarsi dalla ribalta era da considerarsi immediatamente esecutiva, nessuno di loro – neppure il segretario Veltroni – dichiarò alcunché ai giornalisti e alle telecamere: con il risultato che quel giorno i tg, e l'indomani i quotidiani, ebbero tra le mani una notizia di primaria grandezza, senza tuttavia nessuno dei protagonisti che la commentasse: giusto il contrario di quanto si erano abituati a fare. Un commentatore vide in questo fenomeno inedito un primo effetto positivo della clamorosa decisione assunta dal Pd.
Nel paese si diffuse dapprima un'ondata di sconcerto, poi di dilagante depressione, e infine di euforia. Euforici furono fin dall'inizio, e per ovvi motivi, i sostenitori di Berlusconi (sebbene né Letta né Tremonti, per citare i patriarchi delle due principali scuole di pensiero unico, non mancassero di manifestare il proprio disappunto); ma euforici divennero ben presto anche quelli di sinistra: i più incoscienti si dicevano convinti che presto anche il Popolo delle libertà avrebbe scelto l'autoscioglimento; i più spregiudicati brindavano alla sparizione dei loro leader; i più sensibili si sentivano infine liberati dalla sofferenza cui lo spettacolo della sinistra li aveva finallora esposti; i più comunisti giuravano sull'esistenza di un "piano B" che avrebbe presto ricostituito il Partito, e si dichiaravano senz'altro pronti; i più cattolici ne approfittarono per ritrovare un cammino di fede. Ciascuno, insomma, aveva un motivo per festeggiare.
L'euforia divenne sfrenatezza quando, la notte di Natale, annunciarono l'autoscioglimento tutte le organizzazioni della sinistra ancora esistenti: Rifondazione, la Sinistra democratica, il Pdci, i Verdi, il Ps e financo "Sinistra critica" e il Partito comunista dei lavoratori seguirono il destino del Pd. I loro dirigenti, del resto, si erano già parzialmente eclissati dopo la disfatta elettorale della primavera; soltanto Diliberto obiettò che non si poteva lasciare il campo libero alla destra, ma nessuno gli prestò ascolto.
Decidendo di sciogliersi, del resto, la sinistra organizzata non lasciava alla destra alcun campo che questa già non avesse conquistato; in Parlamento i deputati e i senatori eletti nelle liste del Pd che avevano deciso di non dimettersi partecipavano liberamente ai lavori e votavano secondo coscienza, astenendosi tuttavia dal rilasciare dichiarazioni pubbliche di alcun tipo. Anche i parlamentari e i ministri del centrodestra, col tempo, diminuirono la loro presenza mediatica; soltanto Di Pietro, animato da un giusto desiderio di primeggiare, lamentava di non venir invitato abbastanza frequentemente a "Porta a porta". Ma nessuno, in realtà, era davvero preoccupato. Poiché infatti tutti sapevano perfettamente che il governo Berlusconi sarebbe in ogni caso rimasto in carica fino alla sua scadenza naturale nella primavera del 2013, era altrettanto chiaro a tutti che la presenza o meno del Pd non avrebbe fatto una gran differenza. O meglio: avrebbe inesorabilmente danneggiato, come in effetti era avvenuto fra le elezioni di aprile e lo scioglimento del partito a dicembre, più la sinistra che la destra, più l'opposizione che la maggioranza.
Diversi leader del centrosinistra cambiarono nel frattempo lavoro, con grande soddisfazione personale: Veltroni, per esempio, accettò l'invito di Gianni Amelio e del sindaco Chiamparino a dirigere il Torino Film Festival, mentre D'Alema fu acclamato alla presidenza dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alle elezioni europee – che peraltro non contano nulla, come ebbe a notare un autorevole quotidiano – votò poco più del 40% degli aventi diritto; il Pdl superò il 60% dei voti validi e Berlusconi ne fu talmente felice da contagiare persino molti degli astenuti; l'Italia dei Valori raggiunse il 20%; l'Udc e qualche lista fai-da-te si spartirono il resto.
Nel frattempo, però, fra le centinaia di migliaia di (ex) militanti della sinistra rimasti senza partito si andava velocamente sviluppando un fenomeno curioso: finalmente sollevati dal dover seguire, vergognandosene, uno scontro sempre più astratto e sempre più incomprensibile fra i loro leader, i militanti avevano felicemente ricominciato a fare i militanti: cioè a convocare riunioni, a organizzare comitati di cittadini per questo o quell'obiettivo, a volantinare nei mercati, a prendere la parola nelle scuole, negli uffici, nelle fabbriche. Liberi da un gruppo dirigente prigioniero del castello incantato del rancore, i militanti discutevano – senza mai chiamarli così – i "problemi concreti" che in tutti quegli anni si erano persino dimenticati esistessero. Nacquero così come funghi, in parte su impulso di ex iscritti al Pd e in gran parte ad opera di cittadine e cittadini qualunque, centinaia di club, circoli, comitati e gruppi impegnati chi nella difesa dei ragazzi dei call center e chi nella bonifica di un fiume, chi nel riconoscimento dei diritti degli omosessuali e chi nella libertà di ricerca scientifica, chi nella tutela della salute in fabbrica e chi nel volontariato fra gli extracomunitari.
L'estate passò veloce, e in autunno i circoli e le associazioni erano già migliaia. A qualcuno venne l'idea di fare un congresso per ritrovarsi e discutere tutti insieme. Qualcun altro ricordò che anche il Psi, che fu il primo partito della sinistra, era nato in un modo simile nel lontano 1892, unendo le leghe, le società di mutuo soccorso, le cooperative e i circoli operai sorti spontaneamente per l'Italia. Per questo si decise di tenere simbolicamente a Genova, sabato 14 novembre 2009, il primo congresso della rinata sinistra italiana. E quando si trattò di trovare un nome al nuovo partito, venne spontaneo chiamarlo Partito socialista.
Fabrizio Rondolino