mercoledì 28 ottobre 2009

Quel liberal nordista di Marino

da: La Stampa
LUCIA ANNUNZIATA

Non solo il terzo risultato, il terzo posto. Piuttosto, l’identificarsi di una voce «liberal» all’interno del voto del centrosinistra di domenica.

Supercittadina, giovane, professionale, nordica. Insomma, un voto tipico del settore della modernità. Non dissimile da quello che in Usa è chiamato urban radical, che anche in elezioni sfortunate come quelle del 2004 ha costituito la roccaforte del consenso democratico, e che nel 2008 è stata una delle basi su cui si è innestato il consenso a Obama. Né lontano da quello della classe media dei nuovi professionisti il cui protagonismo negli Anni Novanta decretò il primo successo di Tony Blair.

Sono, mi rendo conto, affermazioni un po’ audaci, e forse affrettate. Ma in questo caso scomodiamo i «sacri» nomi di Obama e Blair non per incoronare un nuovo leader, ma per cercare di trovare termini di paragone per capire nuove tendenze. E se qualcosa di nuovo è emerso nelle primarie, è proprio il voto per Marino, che non appare affatto come un voto residuale, cioè di chi è finito in coda alla lista dei contendenti, bensì un voto «terzo», come ben appare dalle analisi possibili già ieri sera, su 2 milioni e poco più di schede scrutinate, pari a 7176 sezioni su un totale di circa diecimila.

Bersani ha avuto 1.081.532 preferenze, Franceschini tocca quota 697.759 (34,4%), Marino arriva a 249.784 voti (12,3%). Le schede bianche e nulle sono state 33.807 (1,6%). Bersani supera il 50% in tutte le regioni tranne Friuli, Toscana, Lazio, Sicilia e Valle d’Aosta. In nessuna, comunque, Franceschini risulta vincitore. Solo in Puglia supera di poco il 40%. La lista Marino che poi, forse, alla fine dello spoglio si assesterà - dicono gli analisti - intorno all’11 per cento nazionale, non solo ottiene più del previsto, ma in alcuni luoghi fa dei veri e propri exploit , quali il 16,55% in Liguria, il 17,88 in Piemonte e il 18,28 in Lazio.

La localizzazione, cioè il dove si è aggregato, è la prima chiave di identità di questo voto. Su «Termometropolitico.it», un sito molto stimato fatto da giovani studiosi di trend elettorali, era possibile ieri guardare sia in numeri che in immagini l’Italia che esce dalle primarie. A differenza degli altri due candidati il cui voto è molto più a macchia di leopardo (in particolare questo vale per Franceschini), il consenso dato a Marino va dal Nord al Sud in perfetta discesa. Insieme alle citate Piemonte e Liguria, il Trentino dà a Marino il 14,52%, il Veneto il 16,78, la Val d’Aosta il 16,80, la Lombardia il 15,74, la Toscana il 13,11% e il Lazio il 18,28 per cento. Da lì il consenso a Marino va giù seguendo la curva del Sud - toccando in Campania il 5,30, in Calabria il 4,30, in Puglia il 7,62. Alcuni di questi risultati al Sud si spiegano con la solidità con cui (nel bene e nel male) gli ex Ds o ex popolari ancora oggi fanno blocco nelle regioni del Sud. Ma non è del tutto vero: se si guarda ad esempio alle città, si vede come Bersani e Marino convivono perfettamente.

Ad esempio proprio a Milano, a Roma, e a Torino, il voto di Bersani che è ampio in tutte le periferie industriali delle città, tende poi a cedere spazio al voto di Marino mano mano che ci si avvicina ai centri storici.

Questo intreccio si ritrova ben rispecchiato nella disamina del voto sulla base dell’età. Scrive «Termometropolitico.it»: «Marino raggiunge o sfiora il 20% tra i giovanissimi, cioè dai 16 ai 24, per poi diminuire fino al 10 per cento scarso ottenuto tra gli elettori di mezza età e gli anziani. Franceschini è forte nell’elettorato giovanile ma debole nelle fasce centrali, per poi risalire leggermente tra gli ultra 65enni. Viceversa, Bersani soffre tra i votanti sotto i 25 anni, dove è scavalcato da Franceschini, e tocca il suo massimo tra i 45 e i 64 anni, cioè una fascia molto rappresentativa per l’elettorato democratico medio; una sua leggera flessione, invece, si registra nei più anziani».

Mettendo insieme tutti questi dati, è dunque evidente che quello di Marino è un elettorato molto diverso da quello che si raccoglie attorno a Bersani, e al quale dunque non sembra aver sottratto granché di consenso. Molte invece le sovrapposizioni, più o meno marginali, con la base di Franceschini, come abbiamo visto nella città e fra i giovanissimi.

Se la piattaforma dei due può spiegare il risultato finale, è evidente che la competizione che è avvenuta fra i due si è giocata sul ricambio, vigorosamente sostenuto da entrambi, e sui temi della laicità, sui quali invece i due si sono distanziati nettamente. Dovendo indicare lo spartiacque fra loro, possiamo con sicurezza indicarlo nel testamento biologico. Uno dei più controversi temi dei mesi recenti, di cui uno, Marino, è diventato il campione, e su cui l’altro, Franceschini, si è trovato a fare il mediatore fra le varie anime cattoliche.

Nel corso delle primarie, l’identità «laica» di Marino si è accentuata con lo scorrere della cronaca. Dalle unioni civili, all’adozione da parte dei single, fino alla battaglia contro l’omofobia, la sua si è definita come la più netta delle posizioni fra le tre in campo, sui temi dei diritti individuali.

Non pare dunque sbagliato dire che la mozione Marino ha aggregato il mondo delle identità e dell’intellighentia giovanile, femminile, urbana. Un mondo «liberal», come si diceva, che pur già essendo dentro il Pd non ha mai visto ben riflesso il proprio atteggiamento nelle tradizioni ex Ds e ex Popolari che vi sono rappresentate.

Non sappiamo - perché non ci sono gli strumenti di analisi - se questo voto ha allargato o no i confini della partecipazione, come sostengono i mariniani. E’ però credibile dire che questo consenso porta dentro il Pd un nuovo pezzo di piattaforma politica quale finora non era mai così distintamente emersa.

Sarà questa una complicazione, ulteriore, nella futura gestione? Possibile. Come anche è però possibile che questo voto «terzo» sia utile a scardinare il confronto a due che spesso ha bloccato il Pd, preso in mezzo fra le sue anime ex comunista e ex cattolica.