venerdì 15 maggio 2009

Quando il premier disse: «Quelle navi non vanno fermate»

Il 30 marzo del 1997, giorno di Pasqua, Silvio Berlusconi è a Brindisi con i 34 albanesi sopravvissuti al naufragio del 28 marzo (Ansa/Caricato)
«Dov’è la cipolla, piagnina?» Erano i primi di aprile del ’97 e il leghista Daniele Roscia, sfot­tendo Silvio Berlusconi per le lacrime versate sugli albanesi morti sulla nave speronata da una corvetta della Marina italia­na, non poteva immaginare che un giorno il Cavaliere avrebbe blindato con la fiducia un decreto come quello di ieri fortissimamente voluto dalla Lega.

Rileggere quanto disse allo­ra il leader azzurro, deciso a sot­tolineare i contrasti dentro il governo Prodi che per arginare gli sbarchi in Puglia aveva vara­to il pattugliamento delle coste andando incontro alla spaven­tosa tragedia della «Kater I Ra­des » affondata con una mano­vra sbagliata dalla «Sibilla», è fonte di sorprese. Per comincia­re, secondo l’Ansa, il leader az­zurro accorso a Brindisi a in­contrare i sopravvissuti, ricor­dò che «l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugia­ti aveva espresso deplorazione su questa misura del blocco na­vale: ora dopo quello che è suc­cesso, dobbiamo riscattare la nostra immagine e dobbiamo fare tutto ciò che le nostre pos­sibilità ci consentono, non so­lo con il nostro esercito per pro­teggere gli aiuti, ma dobbiamo essere tutti noi generosi». Quindi, offerta ospitalità per­sonale a una dozzina di profu­ghi, espresse «le sue riserve sul pattugliamento» e smentì asso­lutamente a Repubblica che Ro­mano Prodi l’avesse preavverti­to: «Non sono stato informato né di blocchi né di pattuglia­menti. Prodi mi aveva informa­to dell’intervento finalmente possibile in Albania, dicendo­mi che era stato trovato un ac­cordo con i paesi di cui mi ha fatto i nomi — Portogallo, Fran­cia, Grecia ed altri — per una missione di pace. Su questo, io ho detto 'Sono pienamente d’accordo'. Tra l’altro ho stu­diato diritto della navigazione, a suo tempo: so che nessuno può fermare navi civili in ac­que non territoriali, non è pre­visto assolutamente un diritto di questo genere da parte di nessuno Stato. Se avessi senti­to parlare di blocco navale, avrei subito drizzato le anten­ne».

Di più, aggiunse all’Ansa: «Credo che l’Italia non possa ac­cettare di dare al mondo l’im­magine di chi butta a mare qualcuno che fugge da un Pae­se vicino, temendo per la sua vita, cercando salvezza e scam­po in un paese che ritiene ami­co. Il nostro dovere è quello di dare temporaneo accoglimen­to a chi si trova in queste condi­zioni ». E chiuse: «Dobbiamo la­vare questa macchia, che sarà pure venuta dalla sfortuna, ma che è venuta da una decisione che non si doveva prendere».

Il giorno dopo, mentre a sini­stra si sbranavano sul tema del­l’accoglienza e tentavano di ar­ginare l’indignazione svento­lando un sondaggio secondo cui, come avrebbe scritto Filip­po Ceccarelli, appena un quar­to degli intervistati giudicava il pianto berlusconiano «since­ro », il Cavaliere spiegava a Raf­faella Silipo, de La Stampa d’es­sere schifato dalle reazioni: «Vogliono strumentalizzare il mio gesto e trasformare una grande tragedia in una piccola e sciagurata polemica politica. D’altronde è inevitabile, quan­do si guarda con occhi sporchi a cose chiare e pulite». A farlo precipitare in Puglia, spiegò, era stata l’indifferenza degli al­tri: «Vede, io li ho visti, i super­stiti del naufragio. Erano dispe­rati. E nessuno era lì con loro, nessuno gli ha detto niente, ca­pito? Si parla di settanta morti, venti bambini, una tragedia pa­ragonabile a Ustica, e questi qui, dal presidente della Repub­blica al presidente del Consi­glio al ministro della Difesa, re­stano a casa loro? È drammati­co ». Dodici anni dopo, riesami­nati gli studi di «diritto della navigazione» a proposito dei pattugliamenti navali, ha cam­biato parere: «Fuori dai confini vale il nostro diritto, previsto dai trattati internazionali, di re­spingerli ». E il voto di ieri, mar­cato dal trionfo della Lega Nord, sigilla la conclusione di un percorso di progressivo av­vicinamento ai temi cari al Car­roccio.

Daremo a Silvio la tessera perché si è 'pontidizzato'», gongolava giorni fa Roberto Calderoli. Padano ad honorem. Una onorificenza che gli sareb­be stata difficile da guadagnare quel giorno in cui, nella intervi­sta citata a La Stampa dopo la tragedia della nave albanese, confidò pensieri che in bocca altrui gli suonerebbero, dicia­mo così, «buonisti» e «cattoco­munisti »: «Siamo stati chiusi nell’egoismo, non possiamo permettere che succeda più nel nostro Paese. Non possiamo chiudere le porte, 58 milioni di italiani che stanno bene non possono respingere povere per­sone che vengono qui per cer­care un po’ di libertà. Doman­diamoci se la tragedia non è an­che dovuta, almeno in parte a quel coro di ''gettateli a mare, sono tutti delinquenti'' sentito nei giorni scorsi».

Un monito antirazzista, iro­nizzerà qualcuno, arrivato do­dici anni prima di quello di Giorgio Napolitano...


Gian Antonio Stella

il corriere.it