Mercoledi un Convegno a Seregno sulla ’ndrangheta per promuovere la cultura della legalità
— SEREGNO —
A SEREGNO, nel 2006, era stato arrestato quello che inquirenti e commissione parlamentare antimafia avevano definito come un esponente di spicco del clan Mancuso, capace di accumulare in un garage un autentico arsenale da guerra; sempre a Seregno, ma anche nella vicina Desio, la ’ndrangheta seppelliva tonnellate di rifiuti pericolosi; fra Desio, Seregno, Giussano, si erano susseguiti incendi dolosi e sparatorie intimidatorie contro le vetrine di bar e negozi.
E non è un caso che proprio a Seregno sia stato organizzato mercoledì sera, al cinema Roma di via Umberto I, un incontro pubblico dal titolo molto significativo: «Rompere il silenzio sulle Mafie in Brianza-Una serata per promuoivere la legalità». No, non è un caso. Perché la mafia, anzi la ’ndrangheta, in Brianza ha messo radici. E non arrivava per caso lo straordinario documentario proiettato a inizio serata: si chiama «Centonove» e racconta la penetrazione inesorabile della ’ndrangheta in Lombardia, dagli affari sporchi a Buccinasco fino alle vicende, faticose ed esaltanti insieme, che hanno portato alla legge che prende il nome da Pio La Torre (ucciso dalla mafia nel 1982) e consente, grazie anche agli sforzi dell’associazione Libera, di confiscare i beni della mafia e destinarli a uso sociale. E il fatto fuori dall’ordinario è che a produrre e trasmettere questo documentario di 35 minuti - scritto e diretto proprio da un seregnese, Marco Tagliabue - sia stata Tsi, la Radiotelevisione svizzera italiana. Assieme allo stesso Tagliabue, all’incontro organizzato dal circolo di Seregno del Pd, c’erano relatori d’eccezione, coordinati dal giornalista Mario Portanova. «I tentacoli della mafia - ha spiegato Tagliabue - arrivano fino in Svizzera e nel Canton Ticino». Il procuratore aggiunto Alberto Nobili, tanti anni alla Direzione distrettuale antimafia di Milano, ha raccontato la sua esperienza di lotta alle mafie: «Dalla meta degli anni Novanta la mafia si è nascosta: dopo il periodo delle stragi che costrinsero lo Stato a una reazione forte, ha deciso di volare basso, ha scelto il silenzio». La droga, al Nord, è la chiave di volta di ogni affare. «In Lombardia - ha detto il magistrato - la ’ndrangheta ha il business straordinario del traffico di cocaina: a Milano ci sono 130mila consumatori abituali, la droga viene comprata in Sudamerica a 1.000-1.500 euro al chilo e rivenduta, dopo averla tagliata e averne ricavati due chili-due chili e mezzo, a 135mila euro al chilo. Il guadagno è stratosferico. E i fiumi di denaro incassati vengono impiegati per comprare imprese, bar, ristoranti, immobili: è una mafia imprenditrice». Il prossimo appuntamento segnato sull’agendina della ’ndrangheta - lo dice l’ultima relazione della Direzione Nazionale Antimafia - è l’Expo 2015. «Avranno vita dura - promette Nobili - ma è una torta ghiotta». I canali che la ’ndrangheta probabilmente percorrerà per impadronirsene, sono sempre gli stessi: intimidazione dei concorrenti e corruzione.
ILARIA RAMONI, dell’Ufficio legale dell’associazione Libera, ha spronato i cittadini a pretendere dai propri amministratori di entrare in possesso dei beni confiscati alla mafia, troppo spesso lasciati improduttivi. Sergio Cannavò, del Centro di azione giuridica di Legambiente Lombardia, ha citato l’ultimo rapporto Ecomafia di Legambiente, che aveva tra i fiori all’occhiello due operazioni maturate proprio nel cuore della Brianza: «Star Wars», della Polizia provinciale, che aveva scoperto i traffici di rifiuti tossici della ’ndrangheta, e la recente operazione «Isola», che aveva messo in ginocchio un clan che aveva allungato le mani sugli appalti di Alta velocità ferroviaria e quarta corsia dell’autostrada A4.