E' trascorso giusto un anno dalle primarie che elessero Walter Veltroni alla segreteria del Pd, insieme a un'assemblea costituente composta da qualche migliaio di persone. L'approdo finale dell'Ulivo di Romano Prodi dopo 12 anni di navigazione. Il 14 ottobre 2007 si recarono ai seggi circa tre milioni di persone.. Mentre due anni prima la partecipazione alle primarie che avevano sancito la candidatura di Prodi in vista delle elezioni politiche del 2006 era risultata ancor più larga. Oltre 4 milioni. Ma allora la consultazione riguardava l'intera coalizione di centrosinistra.
In entrambi i casi, però, le primarie hanno costituito un'occasione di straordinaria partecipazione. Milioni di persone, in fila, davanti a seggi improvvisati, a firmare una dichiarazione di appartenenza. Disposte a pagare per votare. Un segno di vitalità della società civile che contrasta con quanti immaginano - e teorizzano - una democrazia stanca, fatta di cittadini indifferenti, per i quali il rito delle elezioni basta e avanza. E' fin troppo.
La risposta alle primarie dimostrò - dimostra - che i cittadini sono silenziosi perché non hanno buone ragioni e valide occasioni per esprimersi. Peraltro, le primarie non vanno confuse con una manifestazione di democrazia diretta. Sono, invece, strettamente collegate alla democrazia rappresentativa, in quanto servono a selezionare e a legittimare la classe dirigente dei partiti oppure le candidature alle elezioni a cariche pubbliche.
Tuttavia, nonostante si celebrino ogni giorno le ricorrenze più improbabili, l'anniversario delle primarie è stato accompagnato da un singolare silenzio. Rotto da alcuni contributi sui giornali di area. E da qualche iniziativa del Pd e dintorni. Come l'avvio di Youdem, la tv di partito voluta da Veltroni. Un convegno dei Democratici di Parisi. Questo silenzio riflette, forse, una certa voglia di rimozione. Alimentata, in primo luogo, dal risultato elettorale dello scorso aprile.
Se le primarie sono nel codice genetico del Pd, la sconfitta ne ha, in qualche misura, ridimensionato il ruolo. Il divario tra la partecipazione di un anno fa e l'ampiezza della sconfitta elettorale ha generato grande delusione. Da ciò una certa, magari inconfessata, voglia di dimenticare. La sconfitta e i suoi precedenti. La tentazione di esorcizzare la delusione per il risultato elettorale rimuovendo - dimenticando - l'illusione prodotta dalle primarie.
Tuttavia immaginare una vittoria, alle elezioni di aprile, era velleitario, visto il grado di sfiducia sociale verso il governo e il centrosinistra. Per cui la disattenzione intorno alle primarie ha altri motivi.
Riflette, in parte, la difficoltà di realizzare il progetto implicito nelle primarie.. La costruzione di un partito aperto al confronto con la società, in grado di favorire la formazione e il rinnovamento della classe dirigente. Le primarie come indicazione di metodo. Come marchio di un nuovo modello di partito e di democrazia. Non possiamo dire che abbiano prodotto i risultati attesi.
Il Pd resta un progetto incompiuto.
Le primarie non sono diventate un metodo di selezione generale e generalizzato. Fin qui, a livello nazionale, sono state usate solo per dare investitura popolare a scelte già fatte dai gruppi dirigenti (Prodi, prima; quindi Veltroni). L'assemblea costituente, eletta un anno fa, d'altronde, si è riunita un paio di volte e sembra già aver concluso la sua missione.
Le primarie, invece, non sono state usate per scegliere i candidati alle politiche. Né il sindaco a Roma. A causa dei tempi troppo ravvicinati, si è detto. Un problema reale. Che, però, sembra essere stato accolto con sollievo nei gruppi dirigenti, preoccupati dall'emergere di qualche sorpresa, per definizione sgradita. In generale, a livello centrale e locale, negli organismi e fra gli eletti del Pd alle cariche più importanti prevalgono sempre i soliti noti. I leader dei partiti da cui originano: Ds e Margherita. Che, spesso, operano distintamente, come due entità specifiche (come ha rilevato una ricerca sul cambiamento dell'organizzazione dei "nuovi" partiti a livello territoriale condotta da Terenzio Fava, dell'Università di Urbino). La distribuzione degli incarichi avviene, inoltre, in base ad appartenenze "partigiane" (e di corrente: d'alemiani, rutelliani, popolari, veltroniani...).
Per cui, le primarie tendono a diventare un problema, perché complicano i rapporti di forza fra ex-partiti, correnti, leader. A livello centrale e locale. Soprattutto se non è possibile controllarne l'esito. Se possono dare, cioè, esiti imprevisti. E quindi sgraditi ai gruppi dirigenti. Come abbiamo osservato altre volte: Obama, mito e bandiera dei democratici italiani, in Italia non riuscirebbe mai a imporsi. A emergere. Troppo giovane: neppure cinquant'anni! Fuori dai giri che contano, controllati da Clinton. E poi, negli Usa (e non solo), difficile imporsi con quella carnagione scura...
Insomma, non è "previsto". In Italia, al massimo l'avrebbero nominato a rappresentare i diritti degli immigrati, in qualche amministrazione comunale; al massimo, in qualche commissione governativa. Anche coloro che parlano di "sfiduciare" Veltroni, d'altronde, pensano di rimpiazzarlo con qualcun altro dei "soliti noti". Per cooptazione o congiura. Sancita - ma solo dopo - dal voto popolare. Il che delinea un modello di democrazia poco democratico.
Un esito contradditorio e un poco ironico, visto che il progetto da cui originano l'Ulivo, il Pd e le primarie mira all'esatto contrario. Porre limiti a questa democrazia personalizzata e al tempo stesso impersonale. Impostata su partiti "senza società". Centralizzati, identificati nel leader. Le cerchie dirigenti scelte in base a criteri di fedeltà e di immagine. Una democrazia in cui la mediazione con la società è svolta dai media.
La televisione, in primo luogo. Dove il contatto con la "gente" avviene attraverso episodici e oceanici bagni di folla, manifestazioni di piazza. Si tratta di un format inventato e imposto da Silvio Berlusconi, che ha adattato e ridisegnato, a modo suo, tendenze presenti - spesso dominanti - in tutto l'Occidente (e non solo). Il filosofo francese Bernard Manin le ha riassunte nella formula della "democrazia del pubblico". Lo stesso Sarkozy ne ha imitato molti tratti.. Alcuni commentatori hanno parlato per questo di "berluskozysmo". Il Pd è nato per contrastarlo sul suo terreno. Ma non sembra esservi riuscito. In particolare, non pare essere capace di opporsi alla deriva della democrazia che esclude gli elettori da ogni scelta relativa a chi dovrebbe rappresentarli.. Una democrazia "rappresentativa" solo a parole, perché i rappresentanti li decide l'oligarchia che comanda. E che, con queste regole e con questi partiti, comanderà per sempre. Visto che la legge elettorale, alle politiche, non prevede il voto di preferenza.
E la dimensione delle circoscrizioni impedisce un rapporto diretto con gli eletti (che invece era possibile nel maggioritario di collegio). Visto che, inoltre, si sta preparando una legge con caratteristiche analoghe anche per le elezioni europee. Con soglia di sbarramento elevata e abolizione delle preferenze. Per impedire qualche imprevisto. Qualche lista sgradita. O peggio: qualche candidato non deciso a livello nazionale. Ormai, solo nelle elezioni amministrative (comunali, provinciali, regionali) la responsabilità degli eletti e degli elettori è chiara. Ma è probabile che, presto, si troverà rimedio anche a queste anomalie. Il Pd, al di là della buona volontà, non pare capace di opporsi a questa partitocrazia senza società. A questa democrazia che limita il potere del cittadino a un esercizio che si svolge - e si esaurisce - una volta ogni tot anni. Quando l'elettore mette una croce su una scheda. E tutto finisce lì. Fino alla prossima.
Per questo l'anniversario delle primarie avrebbe potuto essere una buona occasione. Per ricordare - per non dimenticare. Ciò che il Pd dovrebbe diventare. Ma che ancora non è - e non sappiamo se mai diventerà. Per ricordare - per non dimenticare. Ciò che rischia di diventare la nostra democrazia. Fondata su partiti chiusi - alla società e alla "circolazione delle élites" (per citare Pareto). Una democrazia povera, per pochi intimi.
Avrebbe potuto essere, ma non lo è stato, un'occasione per ricordare. Questo anniversario finito come è cominciato. Nell'indifferenza.